Perdere il conto

Quando le onde si infrangono sugli scogli fanno un sacco di scalpore.
Il fragore di un’esplosione.
Un’esplosione di schiuma bianca che friccica e di blu infinito.
Scivolare, come sulla pietra di uno scoglio liscio e tiepido di sole, sulla pelle.

Pieghe morbide di  stoffa sotto una strada fatta di curve.
Curve da seguire a occhi chiusi, sotto la punta delle dita.

Si riempie lo stomaco con le onde del mare che sbattono contro le pareti,
come scariche elettriche di sensazioni e di vita.
Come quando perdi ogni forma di controllo e socchiudi le labbra.
Rassegnate a quelle pastiglie di felicità che si sciolgono sotto la lingua, piano.
Come una medicina senz’acqua.

Lo sguardo si perde in quel precipizio scuro di cui non si vede il fondo, ma che sai averci il mare laggiù.
Abbandonarsi nel perfetto incastro che fa quel rumore distinto di due cuori che spingono sotto le ossa.
Luci basse.
Scivolano le ombre sui muri e si stringono senza tempo, mentre le lancette del mondo fuori corrono.

Trovare in un pugno di sospiri i pezzi mancanti di sé.
Guardarli prendere forma.
Come quando, alzando gli occhi, aspetti in cima ad una scala sorridendo.
E’ in quel momento che il mondo gira veloce e che io sono io.

Contare le onde, fino a perderne il conto.
Contare il rumore del loro infrangersi.
Contare il rumore e guardarne il suono.
Seduta sotto un cielo di stelle, come una trapunta di piccoli nei scuri, chiudo gli occhi e inizio a contare i brividi.
Fino a perderne il conto.

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