Riassunti

Spesso facciamo confusione e associamo a un sentimento la positività o la negatività dell’evento che lo fa scattare, dimenticandoci che non è vero che la rabbia è un sentimento negativo ad esempio.
Quando siamo felici siamo troppo impegnati ad ostentare la felicità perché quasi non ci sembra vero che sia reale.
Quando siamo tristi ci chiudiamo a riccio su un dolore sempre più grande lanciando qualche richiesta d’aiuto a bassa voce sperando che nessuno la colga davvero.

Per natura destinati all’insoddisfazione, ci sono quei momenti di rara lucidità in cui riusciamo a guardarci da fuori.
E’ solo in quei momenti che capisci cos’è davvero che ti rende felice.
Il volerti bene, come prima cosa.
Ed è quando il cuore si spezza e pensiamo che non possa più battere che possiamo leggerci dentro dove nessuno può arrivare se non noi stessi. Scavarci fra le ossa e far vibrare tutti gli organi per poi aspettare che si fermino completamente.
Pochi secondi di morte apparente.
E poi ricominciare.
Cercare strade nuove, mai esplorate prima. Capire che forse, per una volta, un passo indietro non è una mancanza di rispetto nei propri confronti ma un tassello che ci dice che siamo diventati grandi (sempre senza esagerare eh).
La visione completa delle cose che non è mai la visione che abbiamo noi delle cose.
La realtà che non è mai l’idea che ci facciamo noi.

Non serve avere l’ansia solo il 31 dicembre sul “cosa fai a capodanno?” perché ogni grossa decisione è un capodanno nella nostra vita.

E il segreto per essere felici è essere consapevoli che la felicità è incostante e spesso fatta solo di attimi, ma altrettanto consapevoli che quegli attimi in cui la sentiamo non finiscono mai.

Ora vi saluto ché ho delle storie da scrivere.

Anacardi ed esorcismi

Ci metto sempre un po’ di tempo per metabolizzare e scriverne.Quella smania che mi accompagna mentre guardo fuori dal finestrino dell’aereo e vedo il Vulcano sfumacchiante.

Quella sensazione pazzesca che siano passate una manciata d’ore dall’ultima volta e invece è passato un anno e mezzo.

Dopo pochissimi minuti la faccia già mi fa malissimo ma non posso proprio smettere di ridere. Quelle risate così vere e violente che non riesci nemmeno a stipartele dentro per cacciarle fuori nei momenti difficili.


E la dannata leggerezza che nasce da quella cosa che abbiamo imparato a fare insieme nel tempo: la condivisione del dolore.

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Quattro.

Sono passati quattro anni da quel giorno in cui mettevo il piede in quel tunnel lunghissimo senza apparente via d’uscita.
Il vortice del nulla mi risucchiava, si mangiava ogni straccio di emozione rimasta. Le raschiava dalle pareti interne del mio corpo e lasciava che il vuoto riempisse ogni anfratto.
Quattro anni da quella sera, quando il silenzio era così stridente da far male alle orecchie.

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sai qual è il problema?

Il problema è che siamo troppo abituati a costruire castelli in aria.

Castelli per ogni cosa. Anche per il sapone delle mani che intanto è finito, inevitabilmente.
Castelli per ogni sensazione, per ogni dubbio, ogni sporco pensiero.
Siamo anime tormentate. Da cosa? Da noi stessi.

Burattini appesi a dei fili invisibili, padri di decisioni non nostre. Ci muove il tempo, con le nostre mosse rigide e le giunture doloranti.

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